Letteralmente il termine sashimi significa "carne infilzata": "sashi" sta per "forato, infilzato" e "mi" per "corpo, carne". La parola risale al periodo Muromachi e deriva probabilmente dalla pratica culinaria di infilzare la coda e/o la pinna del pesce nella polpa per identificare facilmente la tipologia di pesce consumata. Un'altra spiegazione del nome sembra derivare dal metodo di pesca tradizionale chiamato Ike jime. Il pesce, preso all'amo con una singola lenza, una volta pescato viene appunto infilzato nell'area della testa con una punta affilata e messo subito sotto ghiaccio. Così facendo, si previene la formazione di acido lattico mantenendo intatte le qualità organolettiche del pesce.
Ma cosa si intende esattamente con sashimi? E in cosa differisce dal sushi? Il sashimi è una pietanza composta da fette di pesce o carne, crude e, in alcuni casi, cotte o marinate. Tradizionalmente servito con una guarnizione di daikon e accompagnato da foglie di shiso, si consuma utilizzando le bacchette e nella sua variante a crudo, la più diffusa nei ristoranti occidentali, intingendo le fettine in un mix di salsa di soia e wasabi. Il sashimi non prevede dunque l’utilizzo di riso, al contrario del sushi che - per definizione - si riferisce a qualsiasi pietanza a base di riso aromatizzato con aceto. Il termine sushi deriva, infatti, dalla forma arcaica del moderno aggettivo "sui", letteralmente "acido, aspro".
Esistono innumerevoli categorie di sushi, che possono a loro volta essere distinte in tipologie differenti in base al modo in cui sono trattati gli ingredienti. Il sushi, infatti, non è un'unica pietanza ma un vocabolo che raggruppa piatti profondamente diversi tra loro, come i Makizushi e i Nigirizushi, i Chirashizushi, Inarizushi e Oshizushi.
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